Sette e trenta di un mercoledì sera qualunque. Giuseppe suona il citofono. Domenico, il coinquilino con il quale condivido l’appartamento di via Volturno all’Isola, a Milano, da ormai quattro anni, corre in camera esclamando: “C’è il Cavaliere qua sotto”.
Incredula mi affaccio dal balcone per verificare la notizia, che aveva tutta la parvenza di essere uno scherzo del buon Giuseppe. Due auto ingombranti e particolarmente lucide sono parcheggiate di fronte al portone del condominio, non è uno scherzo. Prendo le chiavi, l’Iphone e non mi preoccupo del pigiama rosa a pois che indosso, e corro giù con Domenico per raggiungere l’amico, ma soprattutto il “vecchio” Cavaliere.
L’autista ci osserva nella nostra concitazione e sorride divertito. Mi giro a destra e vedo arrivare Agostino (anche lui condivide l’appartamento con me e molta vita), che conclude una conversazione al telefono dicendo all’interlocutore: “Luca ti chiamo dopo, ho il Cavaliere sotto casa”. Mi giro a destra, e da via Sebenico spunta il Cavaliere, proprio lui, oggetto di tante discussioni politiche, di molti malumori e insofferenze, uomo che, a suo modo, mi ha aiutata a capire da che parte stare.
Gli stringiamo la mano, lui sorride, è emozionato nel vedere quattro trentenni (sembriamo più giovani) ad aspettarlo di fronte al portone che da ragazzino varcava quotidianamente, e dove poco più in là, oggi, arriva e si ferma sempre un’ambulanza. Facciamo una foto, un paio a dire il vero. Agostino, da fedele diavoletto, lo chiama Presidente e vorrebbe molto dirgli quanto gli manca quel Diavolo lì, ma si limita a ringraziarlo per gli anni d’oro. Il Cavaliere ci guarda, cerone sul viso e capelli finti come siamo abituati a vedergli addosso, vestito elegante, quasi come se il tempo non volesse e dovesse passare mai per lui, e invece è proprio passato.
Ho le chiavi al collo, indosso un pigiama rosa a pois e un paio di infradito arancioni, abito nel condominio in cui viveva sua nonna. “Sapete, una volta abitavo qua io?” afferma il Cavaliere, guardando commosso le finestre e indicandoci quelle che una volta erano le sue. “Noi viviamo al secondo piano” dico timidamente, mentre lui racconta che da bambino dormiva in sala. Gli chiediamo se vuole salire, o suonare agli inquilini di quella che un tempo era casa sua, ma non se la sente. Vorrebbe sapere com’è oggi quell’appartamento, ma non ha voglia di suonare o arrecare disturbo. Domani compie 80 anni. Vorrei chiedergli molte cose, ma mentre lo guardo andare via con un passo piuttosto stanco e affaticato, mi limito a dire: “Auguri per il suo compleanno”.
Racconto originariamente pubblicato su “Gli Stati Generali” e rielaborato con amore per #postcardsfromisola.