ISOLA

un racconto di: Alessandro Marzo Magno

È nato a Venezia, nel 1962. Si è trasferito a Milano del dicembre 1996 e dall’inizio del 1998 vive all’Isola. Era il capo degli esteri del settimanale “Diario”. Ora scrive libri cercando di convincere i lettori che la storia non è affatto inutile e noiosa.

Quasi vent’anni fa sono arrivato a Milano come tanti, pieno di belle speranze e idee per un futuro luminoso. Il mondo del giornalismo sembrava ansioso di accogliermi a braccia aperte.

Naturalmente mi sono messo a cercare casa, e naturalmente ho cominciato dalla zona dove credo cominci la maggior parte di quelli che arrivano a Milano da sprovveduti: i Navigli. Poi però un’amica mi ha detto: “Perché non provi all’Isola? È bello, è un quartiere in crescita”. Era l’autunno del 1997 e non sapevo che il mantra “quartiere in crescita” l’avrei sentito ripetere per il ventennio successivo.

Comunque guardo la cartina (non c’era google maps, ai tempi, si girava con le piantine comprate in edicola) e vado a vedere questa fantomatica Isola. Credo di esserci arrivato con la metro da Garibaldi, prendendo la mitica “uscita via Pepe” (“deve andare verso la farmacia, e guardare i cartelli”, ti spiegavano, l’uscita via Pepe è quasi introvabile se non sai muoverti all’interno della stazione). Non mi ricordo bene.

Quel che ricordo bene, invece, è che incombeva una nebbiolina autunnale, che l’illuminazione era diversa da quella attuale: più bassa e con lampade a incandescenza che diffondevano un chiarore giallognolo, e che si udiva lo sferragliare del tram nella via Porro Lambertenghi. E poi le belle case vecchie, inizio secolo, che da piazza Minniti costeggiano via Borsieri e via Garigliano. In una parola, quel quartiere mi ricordava da vicino una delle città europee che amavo e amo di più: Praga. Ma non la Praga tirata a lustro di oggi, bensì quella decadente e affascinante dei tempi del vecchio regime. Pure quella l’avevo vista per la prima volta con la nebbiolina, pure lì si sentiva il tram sferragliare.

E allora mi sono detto: “Qui”, e mi sono messo a cercare casa. Ci sono tornato millanta volte a vedere le abitazioni più varie e più improbabili. Ogni volta che prendevo il tram (al tempo c’era una linea per me comodissima: salivi nel viale Tunisia, vicino a dove lavoravo, e scendevi alla fermata di Porro Lambertenghi) mi venivano in mente gli annunci delle fermate nei mezzi pubblici praghesi: trascinano la a pronunciandola come se ce ne fossero due: “Mala Stranaa”, e così via. Nelle mia testa risuonava un “Isolaa” che poneva quel quartiere nel cuore d’Europa, dalle parti di Franz Kafka, di Franz Werfel, di Leo Perutz. Non mi sarei sorpreso di incontrare il signor K in via Borsieri o di trovare una birreria che vendesse Staropramen (adesso in effetti c’è). Gira e rigira, visita una casa dopo l’altra, alla fine mi sono accasato proprio in quella via Borsieri che tanto mi sembrava Mitteleuropa, in un palazzo inizio Novecento che non sfigurerebbe affatto se anziché angolo Minniti fosse angolo piazza San Venceslao.

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